Formazione E Flessibilità Nella New Economy Martina Gianecchini* 1. Introduzione 1 2. New economy e organizzazione aziendale 3 2.1. Cambiano le strutture 3 2.2. Nuovi lavoratori per la nuova economia 4 2.3. La ricerca 6 3. Un'economia centrata sul Capitale Umano 9 3.1. Capitale Umano e signalling 9 3.2. Conoscenze flessibili per la new economy 14 3.3. Oltre il trade-off tra Capitale Umano e signalling 20 4. Quale formazione per la new economy? 21 5. Bibliografia 27 1. Introduzione I dati sulla diffusione di Internet sembrano indicare che il cambiamento di paradigma tecnologico in corso in questi anni, non è destinato a configurarsi semplicemente come una innovazione incrementrale od anche radicale, ma come una vera e propria rivoluzione tecnologica [Freeman e Soete, 1985]: è infatti un mutamento con effetti pervasivi sull'intera economia, che non sta causando solo la nascita di una nuova gamma di prodotti e di servizi, ma sta cambiando le condizioni di produzione e distribuzione di tutto il sistema, tramite la diffusione di nuovi strumenti per la gestione delle relazioni e dell'interconnessione digitale tra persone, imprese, istituzioni e collettività [Valdani, 2000]. In base a recenti ricerche [Federcomin, 2000a], risulta che nel nostro Paese i navigatori web passeranno dai circa 5 milioni dell'agosto 1999 a 10 milioni al termine del 2000; gli individui che effettuano acquisti on line da 300.000 a 800.000; le Pmi connesse in rete sono passate da 450.000 a 590.000 nel corso del solo 1999. Rivolgendo in particolare l'attenzione alle imprese della new economy (imprese fornitrici di tecnologie ed infrastrutture di Information Technology (IT), aziende che hanno Internet come business dominante e società fornitrici di contenuti e servizi di comunicazione [Federcomin, 2000a]), i dati relativi al 1999 confermano la vitalità del fenomeno e la sua velocità di espansione: le start up sono state 3.145 (+41% rispetto all'anno precedente) e complessivamente è stato generato un fatturato di circa 5.360 miliardi che si stima possa raggiungere i 10.000 miliardi di lire nel 2000. Per sostenere questo sviluppo, un aspetto non secondario è quello occupazionale. Ancora basandosi sui dati della Federcomin, si stima che i lavoratori impiegati nelle imprese della new economy arriveranno a 1.313.000 al termine del 2000 (+2,5%rispetto al 1999), pari al 5,5% dell'occupazione italiana. Questa crescita nel numero di posti di lavoro non si accompagna però ad un incremento dell'offerta in grado di soddisfarla: lo skill shortage (il gap tra domanda ed offerta di lavoro) di professionisti in ambito IT passerà dai circa 33.000 posti vacanti del 1998, a 215.000 nel 2002 [Federcomin, 2000b]. La situazione di tensione evidenziata spinge a porsi alcuni quesiti sulle caratteristiche di una domanda di lavoro che rimane insoddisfatta sia quantitativamente (skill shortage) che qualitativamente (skill gap). Lo scopo di questo lavoro, e della ricerca che presenta, è individuare le peculiarità della domanda di lavoro proveniente da imprese della new economy o rivolta a figure professionali della new economy. In particolare, attraverso l'approccio della Teoria del Capitale Umano, si tenterà di determinare in che modo il percorso formativo, le competenze acquisite e le caratteristiche personali influenzano le strategie di ingresso e il posizionamento in specifici segmenti del mercato del lavoro. Tra queste variabili si approfondirà il ruolo del percorso formativo, come elemento di flessibilità (o rigidità?) per una risposta efficace alle richieste delle imprese. 2. New economy e organizzazione aziendale 2.1. Cambiano le strutture Uno degli aspetti più evidenti dell'avvento della nuova economia riguarda l'evoluzione delle strutture organizzative. Dopo la crisi dell'approccio funzionale e il passaggio all'organizzazione per processi, si sta aprendo l'era della virtual company [Tapscott, 1999]. La digitalizzazione (intesa come processo che consente di trasformare i prodotti in una sequenza di bit, ovvero in informazione [Varian e Shapiro, 1999]) accelera la dematerializzazione dei beni fisici, favorendo lo sviluppo di prodotti a sempre più elevato contenuto di informazione. Dotati di un contenuto di conoscenza sempre maggiore [Stewart, 1997], i beni sembrano perdere il proprio status di prodotti e acquisire quello di servizi. Il loro valore risiede sempre meno nel contenitore materiale di cui sono provvisti e sempre più nel contenuto di "intelligenza" che offrono [Adrich e Masera, 2000]. In questo contesto, tra le variabili organizzative un ruolo rilevante spetta allo spazio e al tempo: la new economy accorcia distanze fisiche e tempi di reazione delle imprese ai cambiamenti del mercato, esaltando modelli organizzativi che sappiano sfruttare le opportunità della competizione globale e della velocità. Inoltre, diminuisce l'enfasi sulle economie di scala e sui rendimenti decrescenti [Grandori, 1995], a favore di nuovi driver di sviluppo basati sulle relazioni e sul concetto di rete. La rete, prima che struttura organizzativa relazionale (rete reale), nasce come infrastruttura tecnologica (rete formale) [Di Bernardo e Benedetti, 1997], che permette ai soggetti all'interno ed all'esterno dell'impresa di essere connessi tra di loro e di scambiarsi con rapidità e tempestività conoscenze ed informazioni [Davenport e Prusak, 2000]. A causa della riduzione dei costi di transazione [Williamson, 1985], la gerarchia perde il proprio vantaggio rispetto a strutture di mercato che implementano metodi di coordinamento basati sull'interazione comunicativa, la condivisione della conoscenza e standard aperti [Rullani, 2000a]. La struttura di rete agisce quindi all'interno dell'impresa favorendo flussi agili e spontanei di informazione e all'esterno agendo sui legami collaborativi e di condivisione di conoscenza con le altre organizzazioni [Evans e Wurster, 2000]. 2.2. Nuovi lavoratori per la nuova economia Nella nuova economia non solo i beni prodotti aumentano il loro contenuto di intelligenza, ma anche l'azienda stessa diviene più "leggera". Il valore d'impresa non dipende più solo dal possesso di asset fisici, ma di risorse immateriali (capitale intangibile), quali idee, conoscenza e modalità per la gestione dell'informazione. Quindi, la base del vantaggio competitivo non è più costituita dall'innovazione tecnologica (facilmente replicabile dai concorrenti), ma dall'attitudine all'innovazione e alla generazione di nuove idee [Tapscott, 2000]. Il contenuto del lavoro muta la propria componente principale: da fisica ad intellettuale. Questo cambiamento sostanziale del contributo dei dipendenti all'interno dell'azienda, ha inevitabili ripercussioni sui sistemi operativi di gestione delle risorse umane. In aziende leggere, snelle, con pochi livelli gerarchici ed elevato grado di flessibilità, perde di significato il concetto di job, inteso come l'insieme di compiti che il soggetto che ricopre quella determinata posizione deve eseguire [Costa, 1997]. L'enfasi si sposta sulla professionalità, sul pool di competenze apportate dalla persona e sulla capacità di mantenerne elevato il valore [Ulrich 1997, Camuffo, 2000, Borgese, 2000, Boldizzoni e Manzolini, 2000]. Per competere efficacemente le imprese devono attrarre, trattenere e motivare gli individui di maggiore talento garantendo flessibilità, mobilità e cambiamento, concetti ben diversi da quelli tradizionali del lavoro a vita e dell'avanzamento gerarchico [Moss Kanter, 1997]. Il "lavoratore della conoscenza" dà valore non solo al fatto di essere impiegato ma anche a quello di sviluppare la propria impiegabilità: il lavoro che si sta compiendo è considerato come uno strumento di accrescimento del proprio capitale umano, skill e reputazione per aumentare le future opportunità di impiego. Conseguentemente il soggetto richiederà un maggiore controllo sull'evoluzione della propria vita professionale, la possibilità di acquisire nuove conoscenze e di applicarle in ambiti diversi, di condividere il valore che contribuisce a creare. Una delle possibili strutture di organizzazione del lavoro che può soddisfare le esigenze di sviluppo professionale del lavoratore e quelle di flessibilità dell'azienda è il team [Butera e Donati, 1997; Sommerville e Mroz, 1998]. In condizioni produttive ed organizzative come quelle delineate in precedenza per la new economy, nelle quali è importante la ridondanza delle conoscenze, la varietà e variabilità del lavoro ed il controllo dell'individuo sul processo, la struttura di gruppo può consentire agli individui di apprendere più velocemente e di raggiungere nel complesso prestazioni più elevate. Attraverso la formazione di team di progetto gli individui possono: Ø aumentare la propria professionalità; Ø apprendere nuove competenze in contesti interdisciplinari; Ø vedere riconosciuto il proprio contributo individuale; Ø essere valutati in funzione della performance e non del job; e le aziende sono in grado di: Ø rispondere rapidamente alle richieste della domanda; Ø adattarsi alle mutevoli condizioni del proprio mercato di riferimento; Ø attuare politiche di empowerment dei lavoratori, stimolandone l'imprenditorialità; Ø ridurre le diseconomie organizzative legate ad una inefficiente gestione del coordinamento delle risorse umane aziendali. In sostanza il team riproduce all'interno dell'organizzazione la rete interaziendale tecnologica e relazionale nella quale è inserita l'impresa. 2.3. La ricerca Per indagare l'entità e i contenuti in termini di competenze dei fabbisogni di nuovi profili professionali delle imprese e individuare i segmenti del mercato del lavoro in cui si manifesta la maggiore tensione, è stata condotta una ricerca sulle inserzioni riguardanti la domanda di personale qualificato apparse nel periodo aprile-agosto su Il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore e Il Gazzettino. Per la corretta interpretazione dei dati va considerato che la fonte scelta cattura solo una parte della domanda di lavoro, espressione dei fabbisogni non solo delle imprese che utilizzano le inserzioni sui giornali come mezzo principale di reclutamento, ma anche di quelle che vi ricorrono solo dopo aver attivato senza successo altri canali. La risposta ad inserzioni sui giornali risulta infatti al terzo posto tra i canali di ricerca attivati dagli individui in cerca di un'occupazione [Reyneri, 1996], preceduta dall'ufficio di collocamento e dalle relazioni personali. In particolare poi, sono i legami amicali e le conoscenze a consentire di creare una rete informativa efficace per portare a buon fine il proprio processo di search [Granovetter, 1974]. Le inserzioni, quindi, possono essere interpretate come segnale della tensione nel mercato del lavoro, sia di tipo quantitativo (offerta insufficiente) che qualitativo (offerta inadeguata). Al fine di rilevare la provenienza della domanda di lavoro, sono stati individuati due macrosettori, che distinguono le imprese la cui attività è legata all'avvento delle nuove tecnologie da quelle tradizionali: Ø le imprese della new economy: società fornitrici di tecnologie e infrastrutture di informatica e telecomunicazioni, società di consulenze e servizi di comunicazione, aziende che hanno Internet come business predominante; Ø le imprese della old economy: società appartenenti a settori tradizionali, che comunque, a causa della citata pervasività del nuovo paradigma, non possono non misurarsi con le nuove tecnologie [Costa, 2000; Rullani, 2000b]. Una ulteriore divisione introdotta riguarda la seconda variabile di interesse: i profili professionali richiesti. Lo schema utilizzato si basa su tre categorie [Gianecchini e Gubitta, 2000] che sono trasversali rispetto ai settori e permettono quindi di cogliere la pervasività delle esigenze del nuovo paradigma tecnologico attraverso diversi tipi di attività e modelli di business: Ø e-profile: ruoli tipici della new economy, creati per gestire lo sviluppo e l'implementazione delle nuove tecnologie, in possesso di competenze gestionali, di comunicazione o tecnico-specialistiche inerenti l'uso della rete. Si tratta di figure professionali che non possono esistere in assenza del web, in quanto lavorano con le nuove tecnologie di rete; Ø profili in transizione: ruoli già presenti nella old economy per i quali si richiede esplicitamente, e in aggiunta a quelle tradizionali, anche il possesso di web competencies. Si tratta di ruoli ai quali è chiesto il maggior sforzo di adattamento, a seguito dei cambiamenti organizzativi indotti dalla crescente pervasività della rete; Ø profili tradizionali: tutte le altre professioni tradizionalmente presenti nelle imprese e rispetto alle quali la domanda di lavoro non richiede una esplicita curvatura sulle web competencies. In base ai dati sinora raccolti (7291 inserzioni) si può tracciare un quadro abbastanza dettagliato della domanda di lavoro che utilizza il canale selezionato. In termini di macrosettori definiti in precedenza, le imprese della new economy rappresentano il 36,4% della domanda censita, mentre quelle della old economy il restante 63,6%. Incrociando queste due categorie con i profili richiesti, si nota una richiesta di e-profile intorno al 10% nei settori della old economy e pari al 69,8% in quelli della new economy (tabella 1). Questo dato, manifesta la tensione presente nel mercato del lavoro: un canale "tradizionale" come il quotidiano veicola circa un terzo di inserzioni riguardanti profili della new economy, e viene utilizzato da un'uguale percentuale di imprese dei settori dell'Information and Communication Technology. Tabella 1 - La domanda di lavoro: settore e tipologia di profilo Settore Profili tradizionali Profili in transizione E-profile Totale Old economy 4141 305 194 4640 89,2% 6,6% 4,2% 100,0% New economy 801 901 949 2651 30,2% 34,0% 35,8% 100,0% Totale 4942 1206 1143 7291 67,8% 16,5% 15,7% 100,0% L'approfondimento dell'analisi sui settori conferma la trasversalità e la diffusione della domanda di web competencies: in 5 dei 12 settori che compongono il campione, oltre il 15% delle richieste riguarda profili non tradizionali. Questo dato, facilmente comprensibile nel caso dei settori della new economy, lo è di meno, ad esempio, per le imprese dell'editoria (57,7%) e finanziarie (15,3%). Segmentando la domanda in funzione della lingua dell'inserzione e risulta che 7,2% delle inserzioni è in lingua inglese (percentuale che sale al 29,5% nel caso di profili in transizione ed e-profile). In base invece alla tipologia d'impresa, 47,6% della domanda proviene da aziende a carattere multinazionale. Tra queste, quelle appartenenti ai settori della new economy esprimono una richiesta elevata di profili in transizione, maggiore di quella delle altre tipologie d'azienda. Questo dato è probabilmente spiegabile in termini di complessità dei profili cercati: mentre i quelli tecnici (come sono la maggior parte degli e-profile) possono probabilmente essere reclutati (in base a logiche di minimizzazione del costo del lavoro) su mercati nazionali ed esteri solo in funzione delle competenze tecniche standardizzate di cui sono portatori, i profili in transizione devono essere in grado di gestire le tecnologie e la loro interazione con il mercato nazionale di riferimento. 3. Un'economia centrata sul Capitale Umano 3.1. Capitale Umano e signalling Il framework teorico attraverso il quale si cercheranno di evidenziare ed analizzare le tendenze del mercato del lavoro nella new economy è la Teoria del capitale umano. Questa, rivoluzionando radicalmente l'impostazione neoclassica dell'istruzione come bene di consumo, assume che l'istruzione e la formazione professionale rappresentino un investimento nelle conoscenze e nelle capacità produttive dell'individuo (il suo "capitale umano"). Il concetto fondamentale della teoria è quello di capitale umano, che, adottando la definizione proposta dall'Ocse [1998], può essere definito come "la conoscenza, le skill, le competenze e gli altri attributi propri degli individui che sono rilevanti per l'attività economica". Il capitale umano costituisce dunque un "asset intangibile che ha la capacità di migliorare e sostenere la produttività, l'innovazione e l'occupazione". Questa definizione esclude perciò le conoscenze che permettono alcune attività ricreative e di consumo (come la lettura), ma comprende tuttavia alcune capacità non strettamente legate all'educazione formale (ad esempio la capacità di lavorare in team, la velocità di apprendimento, la flessibilità) [Guelpa e Trenti, 2000]. L'accumulo di capitale umano ha un valore economico in sé, in quanto aumenta la produttività dei lavoratori e quindi la remunerazione che il datore di lavoro sarà disposto a pagare. Il nucleo centrale della Teoria del Capitale Umano afferma che i soggetti economici investono in conoscenze e capacità produttive sulla base di un calcolo razionale in cui confrontano i costi ed i benefici dell'investimento in un'ottica di lungo periodo che si estende all'intera vita individuale. Nel caso dell'investimento in istruzione i costi sono rappresentati dalle spese dirette (tasse scolastiche, acquisto dei libri) ed indirette (costo opportunità del frequentare la scuola anziché andare a lavorare) della formazione, mentre i benefici corrispondono al maggior reddito rispetto a coloro che non proseguono gli studi [Checchi, 1999]. In un'ottica di ciclo vitale [Ando e Modigliani, 1963], l'individuo dedicherà negli anni giovanili una quota elevata del suo tempo all'investimento in istruzione formale (schooling), evitando o riducendo al minimo le attività lavorative, offrirà quindi lavoro in misura crescente dopo l'entrata nel mercato delle professioni, continuando il proprio apprendimento sul posto di lavoro tramite processi formali (on-the-job training) o mediante l'esperienza (learning by doing), per diminuire infine l'attività lavorativa ed azzerare la formazione una volta raggiunta l'età matura. Sin dalle prime ricerche basate sul nuovo approccio, emerse che accanto a scolarità ed esperienza professionale l'elenco dei fattori i quali, agendo sullo stock di capitale umano posseduto dall'individuo, potevano influenzare le retribuzioni doveva comprendere anche l'ambiente familiare e le abilità personali (figura 1): Ø la famiglia è fondamentale nella cura dell'individuo in età prescolare ed in seguito per il finanziamento degli studi; Ø le abilità individuali, intese come capacità soggettive di sfruttare economicamente le occasioni professionali [Praussello e Marenco, 1996], seppur di difficile osservazione e valutazione, rappresentano una variabile importante nello svolgimento della carriera professionale (in particolare, come si vedrà in seguito, per i professionisti della new economy). Figura 1 - Relazione tra reddito, capitale umano e sue componenti Reddito = ƒ CU La teoria tradizionale distingue il processo formativo che conduce alla creazione di capitale umano in due forme [Becker, 1962]: Ø la formazione generale, che agisce sulle conoscenze che migliorano la capacità di eseguire una generica attività produttiva; Ø la formazione specifica, che fornisce una serie di capacità (idiosincratiche) che il lavoratore può utilizzare solo all'interno dell'impresa che le ha formate. Studi recenti [Maggioni, 1997; Antonelli e Leoni, 1997] propongono l'inserimento di un'ulteriore categoria nei processi formativi: Ø la formazione all'apprendimento, che incrementa la capacità di problem solving dell'individuo, attraverso un continuo allenamento all'applicazione dei concetti teorici ed alla ricombinazione del proprio patrimonio cognitivo. Tentando di analizzare la relazione esistente tra tipo di processo formativo (generale, specifico, all'apprendimento) e contesto tecnologico di inserimento del lavoratore si può ipotizzare che: Ø in contesti economici e tecnologici stabili è ottimale un tipo di formazione specifica, che trasmetta agli individui i contenuti specifici alla propria professione; Ø in un mondo in cui il progresso tecnologico comincia ad erodere le conoscenze specifiche accumulate dal lavoratore, è ottimale che la formazione si concentri sulla trasmissione di principi di base che possono venire utilizzati e ricombinati in vario modo; Ø in una realtà caratterizzata da tassi di evoluzione elevati e costanti, la migliore formazione consiste non nella comunicazione di contenuti ma di un metodo di apprendimento. In questo caso il lavoratore viene dotato di strumenti concettuali e relazionali che gli consentono di interagire positivamente con un ambiente di lavoro in continua evoluzione. In base alla teoria sinora esposta l'acquisizione di istruzione può quindi essere pensata come accumulo di un fattore produttivo immateriale (il capitale umano) che influenza la produttività del soggetto. Alla Teoria del Capitale Umano però nel tempo sono state rivolte numerose critiche, molte delle quali tese a mettere in dubbio la reale esistenza del nesso causale tra (crescita di) istruzione e (crescita della) produttività [Santoro e Pisati, 1996]. Secondo gli studiosi della Teoria del credenzialismo, il titolo di studio rappresenta solo uno strumento per superare l'asimmetria informativa tra imprese e lavoratori nel processo di assunzione. Attraverso meccanismi di screening le aziende selezionano i soggetti in base ad alcune caratteristiche osservabili (età, sesso, esperienza), tra le quali assume importanza fondamentale il possesso di un titolo di studio, che a loro volta i lavoratori utilizzano come strumento segnalatore (signalling) del possesso di determinate qualità. L'istruzione quindi non aumenta la produttività attraverso la trasmissione di saperi e professionalità, ma piuttosto agisce come una sorta di meccanismo rivelatore che permette ai datori di lavoro di identificare quegli individui che possiedono o una capacità superiore innata o certe caratteristiche personali (affidabilità, motivazione, creatività, atteggiamenti verso l'autorità) valutati positivamente dagli stessi datori di lavoro e perciò ricompensati attraverso salari più alti. L'istruzione fornisce semplicemente un certificato (una "credenziale") che permette a chi lo possiede di ottenere un lavoro ben pagato, senza influire sulla produttività del singolo. L'importanza dell'approccio credenzialista deriva dal fatto che esso focalizza l'attenzione sul legame tra istruzione e produttività: il possesso di un titolo di studio non indica solo che un soggetto possiede certe capacità ed attitudini, ma che il processo di formazione ha modellato e sviluppato tali attributi (oltre a fornire conoscenze tecniche). In un certo modo si può dire che il concetto di investimento in capitale umano rimane valido ma che si allarga al fine di comprendere sia le attività che agiscono sugli attributi personali sia quelle che formano la professionalità [Woodhall, 1997]. 3.2. Conoscenze flessibili per la new economy La Teoria del Capitale Umano e le critiche ad essa mosse dal credenzialismo pongono spunti interessanti in termini di processi di formazione per la new economy. I dati della ricerca possono quindi essere un utile strumento, per tentare un ripensamento degli assunti della Teoria del Capitale Umano, al fine di valorizzare, anche nel nuovo contesto economico, la valenza interpretativa di questo modello di analisi del legame tra formazione individuale e inserimento professionale in azienda. In particolare si tenterà di verificare: Ø se ed in che modo venga rispettato il legame tra livello di istruzione e reddito; Ø quali siano oggi le componenti che entrano nella funzione di formazione del capitale umano; Ø quale sia il processo formativo più adatto per i professionisti della new economy; Ø la validità delle critiche credenzialiste. Sottoponendo a verifica la tesi fondamentale della teoria, e cioè il nesso tra crescita di istruzione e crescita di reddito dell'individuo, si evidenzia che anche nella new economy questa regola viene rispettata. Sulla base dei dati di un'indagine retributiva pubblicata ne "Il Mondo" ed in funzione di una riclassificazione delle categorie professionali nelle quali sono state catalogate le inserzioni, è stata costruita una "gerarchia retributiva" che vede al primo posto l'e-business manager, seguito dal responsabile dei Sistemi Informativi e dai tecnici Internet (web developer, web designer, web master, architetto di sistema). Questa semplice analisi ha permesso di verificare che ai profili maggiormente retribuiti è mediamente richiesto il possesso di un più elevato livello di istruzione (tabella 2). Tabella 2 - Legame tra titolo di studio e gerarchia retributiva nella new economy Nessun titolo di studio Diploma Laurea Valore medio* E-business manager 36,8% 6,3% 56,8% 1,2 Responsabile SI 44,4% 18,5% 37,0% 0,93 Tecnico Internet 66,4% 13,3% 20,4% 0,54 * Livello medio di scolarità per ciascuna professione ponendo: nessun titolo di studio = 0, diploma di scuola media superiore = 1, laurea = 2. Nel corso dell'esposizione della teoria si è però evidenziato come l'istruzione scolastica (schooling) sia solo una delle componenti che entrano nella funzione di creazione di capitale umano assieme alla formazione sul posto di lavoro, all'ambiente familiare e alle abilità personali (figura 1). Allo scopo di analizzare il processo di formazione di capitale umano dei professionisti della new economy e le variabili che lo influenzano, i tre profili precedentemente definiti sono stati considerati come approssimazione di tre diversi livelli di accumulo di conoscenze e competenze legate alla gestione e all'utilizzo di strumenti web (web competencies). In particolare gli e-profile rappresentano la risposta alle nuove esigenze del mercato del lavoro in termini di web competencies, i profili in transizione sono ai primi stadi del processo di accumulo di questo tipi di competenze ed infine il capitale umano dei profili tradizionali non contiene elementi di novità rispetto al passato. Il calcolo dell'indice di correlazione tra i profili e le componenti che concorrono alla formazione del capitale umano ha consentito di valutare il segno e la significatività delle relazioni, mentre per stimare la forza del legame si è costruito un modello di regressione lineare. Le correlazioni tra i profili e i titoli di studio hanno quasi tutte elevata significatività e segni che permettono alcune interessanti riflessioni (tabella 3). In generale la relazione tra il possesso di un titolo di studio e l'accumulazione di competenze web è negativa, e gli unici percorsi formativi che hanno un'influenza positiva sulla creazione di capitale umano specifico per i professionisti della new economy sono la laurea generica, la laurea tecnica e la cultura equivalente. Questo significa che la domanda di nuovi professionisti è focalizzata su soggetti a formazione strettamente ingegneristica od informatica, oppure, al contrario, su persone di cultura elevata e generica, maturata anche all'esterno dei percorsi di studio istituzionali. Come si vedrà in seguito, questo apparente paradosso permette di ipotizzare due percorsi di sviluppo in atto per le figure della new economy, che prospetticamente sono destinate a convergere su profili in grado di coniugare la componente tecnologica con quella relazionale. Tabella 3 - Correlazione tra profili e titolo di studio Possesso di un titolo di studio Diploma Laurea generica Laurea tecnica Laurea economica Laurea umanistica Altre lauree Post laurea Cultura equivalente Profilo -0,073** -0,079** 0,033** 0,138** -0,077** -0,068** -0,095** -0,018 0,080** ** La correlazione è significativa al livello 0,01. La relazione tra apprendimento sul posto di lavoro ed accumulo di capitale umano per la new economy, è stata misurata attraverso le correlazioni tra esperienza e profili. L'apprendimento on-the-job è stato classificato in tre categorie in base alle modalità di maturazione: Ø esperienza nel ruolo: aver ricoperto una posizione analoga; Ø esperienza nel settore: aver lavorato in imprese appartenenti allo stesso settore; Ø esperienza in problematiche analoghe: aver affrontato situazioni di lavoro “simili” a quelle indicate nell'inserzione (indipendentemente dal ruolo e dal settore). Le correlazioni indicano un legame forte e di segno positivo tra un'esperienza situazionale e destrutturata e profili ad elevato contenuto di web competencies (tabella 4). La spiegazione del fenomeno è duplice. Da un lato, trattandosi di professioni nuove o “da inventare sul campo” è evidente che non avrebbe senso per le imprese cercare, sul mercato del lavoro, professionisti con precedenti esperienze in ruoli e settori di recentissima costituzione. Dall'altro, le situazioni “problematiche” per le quali si richiede esperienza diretta, potrebbero derivare da processi di socializzazione o da esperienze non di lavoro. Tabella 4 - Correlazione tra profili e esperienza Anni di esperienza Esperienza nel ruolo Esperienza nel settore Esperienza in Problematiche analoghe Profilo 0,057** -0,153** -0,117** 0,232** ** La correlazione è significativa al livello 0,01. Poiché non è stato possibile, con i dati raccolti dalle inserzioni, censire l'influenza dell'ambiente familiare, rimane solo da analizzare la relazione tra abilità personali e profili. Anche in questo caso le categorie in cui sono state distinte le abilità sono state poste a priori in maniera generica, ma sono state definite dalle richieste manifestate dalla domanda. Le correlazioni tra caratteristiche individuali e accumulo di capitale umano sono tutte significative ma di segno diverso (tabella 5). La correlazione negativa con l'età evidenzia che all'aumentare del livello di web competencies del profilo diminuisce l'età richiesta all'individuo. Interessante è che l'unico indice di segno positivo sia quello riguardante il lavoro in team. Come si diceva nei paragrafi introduttivi il team è probabilmente una delle microstrutture organizzative che meglio permette di soddisfare le esigenze di sviluppo professionale del lavoratore e quelle di flessibilità dell'azienda. È quindi una capacità la cui importanza diviene fondamentale per i professionisti della new economy rispetto ai profili tradizionali. Tabella 5 - Correlazione tra profili e caratteristiche individuali Età Lavorare in team Problem Solving Autonomia e leadership Flessibilità Capacità relazionali Altre caratteristiche Profilo -0,302** 0,050** -0,063** -0,103** -0,075** -0,103** -0,150** ** La correlazione è significativa al livello 0,01. Per misurare la forza esplicativa delle variabili analizzate rispetto all'accumulo di capitale umano specifico per la new economy nei diversi profili, è stata condotta un'analisi di regressione che conferma le indicazioni tratte dagli indici di correlazione, restringendo però l'insieme della variabili significative (tabella 6). Tra i percorsi formativi in grado di spiegare l'aumento di web competencies, rimangono le lauree tecniche, generiche e la cultura equivalente, accanto alla laurea economica che ha però segno negativo. Tra le abilità personali è stata eliminata, perché scarsamente esplicativa, la capacità di problem solving, mentre tra i tipi di esperienza quella nel ruolo. Tabella 6 - Analisi di regressione (r2 = 0,196, r2 corretto = 0,194) Variabile dipendente - Profilo Coefficienti Beta Significatività (Costante) 0,613 0,000 Laurea generica 0,103 0,000 Laurea tecnica 0,263 0,000 Laurea economica -0,145 0,000 Cultura equivalente 0,213 0,000 Età -0,013 0,000 Lavorare in team 0,169 0,000 Autonomia e leadership -0,066 0,001 Flessibilità -0,076 0,001 Capacità relazionali -0,097 0,000 Altre caratteristiche -0,209 0,000 Esperienza nel settore -0,134 0,000 Esperienza in problematiche analoghe 0,325 0,000 Le modalità di costruzione dell'analisi di regressione (variabili qualitative e dummy), riducono in parte la significatività statistica della regressione stessa. Questo limite, tuttavia, non riduce il valore del modello a fini interpretativi dal momento che, il campione stesso, in funzione della fonte scelta, non si può considerare rappresentativo dell'universo della domanda di lavoro. La stima dei influenti nell'accumulazione dello stock di capitale umano parametri evidenzia la rilevanza delle componenti a formazione personali e flessibili (tra le quali si possono comprendere le abilità, la cultura equivalente e l'esperienza in problematiche analoghe) rispetto a quelle maturate in istituzioni formative tradizionali (tipicamente le lauree tradizionali e l'apprendimento sul lavoro). Lo scarso peso del contributo apportato dai percorsi di studio tradizionali, suggerisce che, tra le tre forme individuate in precedenza, il processo formativo più adatto per i professionisti della new economy è quello basato sullo sviluppo delle capacità di apprendimento continuo. Accanto a profili strettamente tecnici, per i quali è sicuramente utile una formazione specifica, soggetta però al rischio di obsolescenza delle conoscenze, le imprese domandano professionisti con una formazione elevata ma generica, che siano in grado di coniugare le capacità informatiche con quelle gestionali, in situazioni di teamworking. La propensione all'apprendimento ed alla ricombinazione del proprio patrimonio cognitivo sono le caratteristiche fondamentali dei professionisti della new economy, ai quali è richiesto uno sviluppo continuo delle proprie conoscenze. 3.3. Oltre il trade-off tra Capitale Umano e signalling L'interpretazione dei dati raccolti suggerisce un ripensamento degli assunti della Teoria del Capitale Umano, da rivalutare anche alla luce delle critiche mosse dai credenzialisti. Schematicamente si può dire che entrambi gli approcci teorici vengono parzialmente falsificati, per generare una terza via che nasce dalla sintesi dei due. Il legame tra tipo e livello di istruzione e produttività nel lavoro, teorizzato dagli studiosi del capitale umano, non è ad esempio in grado di spiegare il comportamento delle imprese che non richiedono il possesso di un titolo di studio (45,3% delle inserzioni) e di quelle che non indicano un percorso di studi specifico (26,3%). Parrebbe allora valida la tesi credenzialista dell'istruzione non come processo di sviluppo e creazione delle capacità del futuro lavoratore, ma come semplice meccanismo rivelatore delle sue abilità personali innate. I dati però non confermano appieno neanche questa ipotesi, dal momento che il valore segnaletico del certificato di laurea piuttosto che delle credenziali lavorative non ha significato nei numerosi casi in cui non viene richiesto il possesso di un titolo di studio ma di cultura equivalente (9,7% delle inserzioni nelle quali è indicata la scolarità), oppure nei casi di esperienza situazionale (25% delle inserzioni nelle quali è richiesta una precedente esperienza). La domanda, soprattutto relativamente ai profili non tradizionali, manifesta dunque una richiesta poco attenta al valore segnaletico delle credenziali possedute dall'individuo, e più interessata ai suoi attributi personali, ed in particolar modo alla sua capacità di apprendimento continuo e di lavoro all'interno di gruppi multidisciplinari. Utilizzando le categorie concettuali della teoria presentata, questo significa un'attenuazione del peso di componenti "rigide" come lo schooling e il training on-the-job nel processo di formazione di capitale umano, a favore di variabili "flessibili" come le abilità personali e il learning by doing realizzato all'esterno dell'ambito lavorativo. 4. Quale formazione per la new economy? In questa parte finale del paper si proporrà un modello di analisi dei dati della ricerca che, basandosi sulle ipotesi interpretative del legame tra new economy e sviluppo delle risorse umane aziendali e sulla Teoria del Capitale Umano, tenterà di stabilire una relazione tra possesso di un determinato titolo di studio e flessibilità di impiego. Innanzitutto, si presentano alcuni dati riguardanti la domanda di scolarità nelle inserzioni censite. La richiesta di titoli di studio è stata suddivisa in funzione del livello (diploma, laurea, formazione post laurea, cultura equivalente) e dell'area di interesse (laurea generica, economica, tecnica, umanistica, altre materie). Il possesso di un titolo di studio è richiesto nel 54,7% dei casi, nel 25,2% dei quali si tratta di un diploma di scuola media superiore, e nel restante 74,8% di laurea o cultura equivalente (tabella 7). Accanto all'elevata richiesta di titoli di studio a carattere essenzialmente tecnico (Ingegneria ed Informatica), che intuitivamente è facile collegare alle professioni pionieristiche della new economy, si manifesta un crescente interessamento delle aziende per soggetti a formazione umanistica e cultura universitaria generica. Questa domanda è un segnale della perdita di tensione nei confronti della componente tecnologica, tradizionale barriera all'entrata nei settori legati all'Information and Communication Technology, e di uno spostamento verso professioni portatrici di contenuti che devono "riempire" gli spazi creati dalle nuove tecnologie. Tabella 7 - Tipo e livello di scolarità richiesta per i diversi profili Profili tradizionali Profili in transizione E-profile Totale Diploma 28,4% 17,3% 20,8% 25,2% Neolaureato 1,8% 1,4% 3,4% 1,9% Laurea generica 15,5% 19,2% 18,6% 16,6% Laurea tecnica 16,2% 29,9% 31,6% 21,0% Laurea economica 13,1% 10,9% 5,1% 11,5% Laurea umanistica 4,2% 1,4% 1,0% 3,2% Altre lauree 11,6% 3,3% 5,3% 9,1% Post laurea 1,7% 2,7% 0,4% 1,7% Cultura equivalente 7,6% 13,9% 13,8% 9,7% Totale 100% 100,0% 100,0% 100,0% A parziale sostegno di questa ipotesi, è interessante l'evoluzione delle professioni dell'area commerciale [Costa G., Gianecchini M. e Gubitta P., 2000], in cui si evidenzia il crescente interesse delle imprese per persone in grado di interfacciare la tecnologia con le competenze proprie di aree tradizionali (non solo il marketing e commerciale, ma anche la finanza e gli approvvigionamenti). Sintetizzando i risultati emersi dall'analisi della variabile “titolo di studio”, si può supporre che nel prossimo futuro la formazione dei professionisti della rete avverrà seguendo due percorsi tipici: Ø un primo ad impronta marcatamente tecnologica, che prevede un diploma tecnico ed una laurea in Ingegneria o Informatica; Ø un secondo trasversale e multidisciplinare, costruito su titoli di studio di area economica ed umanistica. Già dalla sola analisi delle frequenze, si sono potute trarre alcune indicazioni interessanti sul legame tra titolo di studio ed possibilità di inserimento del soggetto in azienda, in particolare con riguardo alle professioni della new economy. L'analisi che verrà ora condotta focalizza in particolare l'attenzione su due dimensioni della flessibilità del titolo di studio: Ø la flessibilità quantitativa, intesa come numero di combinazioni funzione-professione cui permette di accedere il titolo di studio richiesto; Ø la flessibilità qualitativa, intesa come contenuto medio di web competencies delle professioni cui si può ambire dato il possesso di un determinato titolo di studio. La prima dimensione è una misura della varietà di inserimento in azienda, cioè delle possibilità di accesso a differenti professioni, offerte da un dato titolo di studio. La seconda è invece un indice dell'innovatività del percorso formativo, e quindi della sua capacità di fornire all'individuo conoscenze adatte per coprire profili ad elevato contenuto di competenze web. Misurati in funzione di queste due variabili i titoli di studio si posizionano come in figura 2. Figura 2 - Flessibilità del percorso formativo Come nota di metodo iniziale, è stata verificata l'esistenza di una relazione di dipendenza lineare tra le variabili (titolo di studio, profili, professioni), tramite il test di verifica di ipotesi del chi-quadrato (÷2) di Pearson. Passando all'analisi del grafico, sull'asse delle ascisse è calcolata la flessibilità quantitativa: il numero di diverse combinazioni tra professione (51) e funzione (12) cui si può accedere dato un certo percorso formativo. Sull'asse delle ordinate è indicata la flessibilità qualitativa: dopo aver pesato diversamente i tre profili in funzione del contenuto di web competencies (0 i profili tradizionali, 1 i profili in transizione e 2 gli e-profile), ed aver allocato ciascuna richiesta professionale ai diversi profili, queste sono state raggruppate in funzione del tipo di scolarità indicata e si è calcolato il peso medio (innovatività media) delle professioni cui si può accedere data una certa formazione. Da notare come, in base alla costruzione dell'indice su variabili qualitative, la scala numerica indicata su quest'asse non abbia valore cardinale ma semplicemente ordinale. Il grafico quindi rappresenta il posizionamento dei percorsi formativi in funzione della flessibilità di accesso a diverse posizioni professionali e della flessibilità di adattamento alle richieste lavorative della new economy. L'interpretazione che se ne può dare conferma e rafforza le considerazioni fatte sinora sulla base dei dati e della teoria. Innanzitutto, si può notare il posizionamento del gruppo formato dalla laurea tecnica, dalla laurea generica, dal diploma e dalla cultura equivalente nella zona in alto a destra del piano cartesiano. Questi titoli di studio presentano un'elevata flessibilità sia in termini di numero di diverse posizioni cui consentono di accedere, sia relativamente al grado di innovatività delle conoscenze che forniscono. Interessante è ancora una volta notare la situazione di prossimità di lauree specifica, come quella tecniche, a percorsi basati sul possesso di conoscenze generiche. Sulla sinistra del grafico si trova posizionata la laurea umanistica, la più rigida quantitativamente (solo 32 combinazioni professione/funzione contro gli 87 del diploma) ma ben posizionata relativamente alla spendibilità delle conoscenze fornite per coprire professioni della new economy. Il dato conferma l'orientamento delle imprese verso soggetti cono conoscenze soft (di comunicazione e sociologia) per ruoli "ibridi", che sappiano gestire la complessità indotta dalle tecnologie informatiche che avvicinano sempre più l'azienda alla moltitudine dei singoli clienti (mass customization, marketing one-to-one). Infine in posizione centrale rispetto all'indice di flessibilità quantitativa ma relativamente bassa rispetto a quella qualitativa, si trovano la laurea economica e le altre lauree. In base ai dati raccolti, questi due titoli di studio, seppure relativamente ben posizionati in termini di varietà professionale, non forniscono al momento le conoscenze che il mercato richiede per coprire i ruoli della new economy. Sarebbe a questo punto interessante poter eseguire un'analisi longitudinale per riuscire ad interpretare in modo corretto il posizionamento dei titoli di studio ed il loro percorso di sviluppo nel tempo. L'analisi condotta sinora lascia infatti numerose domande aperte circa il futuro della formazione per i professionisti della new economy. La prima domanda riguarda le prospettive della richiesta di profili tecnici (e quindi di lauree in ambito ingegneristico ed informatico) data la relativa standardizzazione di queste competenze, che le aziende hanno cominciato ad acquistare sul mercato. In secondo luogo, per motivazioni analoghe a quelle appena esposte, appare incerto il destino dei diplomati, spesso specializzati in tecnologie che presentano un elevato grado di sostituzione ed obsolescenza. Un terzo punto riguarda l'impiegabilità futura dei laureati in discipline umanistiche e sociologiche, che per mantenere elevata la fruibilità delle loro conoscenze dovranno probabilmente arricchirle con capacità in ambito informatico. Infine sarà interessante verificare nel tempo il percorso di sviluppo dei laureati in discipline economiche. Dalla posizione in cui si trovano, due sembrano essere in sentieri possibili: un primo "verticale" basato sul potenziamento delle web competencies al fine di realizzare l'ideal tipo professionale che sappia sintetizzare la componente tecnologica con quella manageriale; un secondo "orizzontale" volto al presidio delle posizioni attuali e ad un aumento della varietà, in un ottica di sfruttamento dell'ampiezza delle proprie conoscenze aziendali che porta il laureato in economia ad essere favorito nella copertura della maggior parte dei ruoli aziendali. Nella formulazione di questi scenari non si è tenuta in considerazione la componente di abilità e caratteristiche personali, che la domanda utilizza come variabile di screening e che, probabilmente, spiega l'attuale grado di flessibilità della laurea generica e della cultura equivalente. La convergenza dei profili professionali verso un modello di lavoratore che sappia interfacciare in modo flessibile informatica e conoscenze tradizionali, pone dunque le istituzioni formative di fronte ad un trade-off tra lo sviluppo di capacità tecniche specifiche, che assecondino il progresso tecnologico, ed un'istruzione tesa a potenziare la flessibilità e la capacità di apprendimento multidisciplinare degli individui. 5. Bibliografia Aldrich D. 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