Grazie? Prego. Adesso me ne vado, disse. E se ne ando'. Non disse altro. Mi lascio' qui da solo, solo con questo nodo in gola e questo tormento nella coscenza per tutto quello che avrei potuto fare e non fare. Boh, ormai avra' gia' preso il treno, chissa', pensai. La giornata se ne era ormai volata via, inutile, senza significati ne' colori. Il giorno dopo avrei ricominciato la routine, il lavoro, la gente. Ma senza di lei. Senza. L'indomani sarei andato in ufficio, avrei forse cestinato la sua foto, avrei acceso il monitor e avrei annebbiato nei tasti ogni presente. E poi me ne sarei tornato a casa, come ogni giorno. Ma non avrei trovato nessuno, proprio nessuno. Nessuno mi avrebbe lanciato una mela da prendere al volo, nessuno avrebbe accennato ad un bacio sulla punta delle labbra. Solo silenzio, alla sera, avrei avuto intorno. E le mie cene senza i sughi al ragu' amorevolmente bruciacchiati da lei al telefono. Passata di pomodoro, direttamente dal barattolo alla pasta un po' colla, avrei messo per chissa' quanto tempo, invece. Certe occasioni sprecate, certi atteggiamenti, alla fine si pagano; e si pagano duro, pure. Mai piu' la sua voce, il suo sguardo apprensivo. Mai piu'. Oddio, mai piu'. Non ce l'avrei mai fatta; no, mi dissi. Non c'e' uscita. Il vuoto, dentro, fuori. Vuoto, nebbia. Ma come, pensavo, anni passati in rinuncie, anni di coperchi avvitati su sogni ed emozioni, anni soffocati in famiglia sui libri e con rinchiuso il sole fuori dal mio cerchio di mura. Anni per cosa? Per chi? Anni rivelatisi utili per passare una vita davanti ad un computer invece che ad un tornio. Bella cavolata. E Adesso, da solo, me ne sarei fatto proprio molto dei miei bei soldini. Basta, mi dissi. Basta. In tasca le chiavi, sbattei la porta, mi incamminai per la strada deserta verso l'unica persona che avrebbe potuto forse aiutarmi. E pure la meno indicata a farlo, fra l'altro. Niente popo' di meno che quel tipo che era stato con lei ai lupi, parecchi anni prima. Il suo ex. Il tipo che sul tandem a volte pero' non pedalava, come mi aveva spiegato lei come unico elemento sulla loro relazione. Forse proprio lui poteva ora essere l'unico in grado di dirmi dove l'avrei potuta cercare. Mah, proprio lui. Forse era lui il problema, forse era ancora a lui il pensiero di lei, in questi ultimi mesi, forse. Di certo in me non poteva trovare quello che in lui l' aveva accecata. Io con le mie paure, io a tremare leggendo una lettera, io a nascondere in un cassetto i duri colori delle sue mille favole all'aquerello. Oppure solo non avevo saputo comunicare. Lei ad un passo e io altrove. E quante volte alla sera l'avevo immaginata a girovagare sola nei riflessi di luce della sua stanza, e quante volte avrei solo voluto dirle: non aver paura, ci sono qui io. Mai gliel'ho detto, pero'. Mai ci sono riuscito. Io che poi con lei al fianco altro non sapevo fare che volare in silenzio. O forse non ero neppure io. Forse era semplicemente troppo tempo che ce ne stavamo in equilibrio sulla stessa tavola sospesa, entrambi ad occhi chiusi nella paura di cadere. Ed entrambi intenzionati a lasciar sepolto ogni argomento nell'archivio delle omerta' bello grande fra di noi. No, non era neppure questo. No, no. Accidenti. No, torna, torna, pregavo. Torna e cambiera' tutto, non lasciero' che succeda di nuovo. Torna, mio cucciolo, non lasciarmi qui da solo, cosi', ora. Torna. Veloce nel raccordo anulare dei miei pensieri ero gia' arrivato al campanello; esitai, suonai. Buongiorno... sono Marco...si, insomma, uno. Dovrei parlare con il signor... Salii. Qualche sera dopo; una qualunque delle giornate inesistenti che avevo passato nel periodo seguente. Ancora nessuno, all'altro capo del telefono. Nessuno? Come non c'e' nessuno? Ci deve essere qualcuno, implorai. Nel tentativo di frantumarmela sbattei la testa sul vetro della cabina fuori dall'ufficio. In sottofondo stropicciavo intanto con la mano il foglietto che mi aveva dato lui, con quel numero di telefono che allungava ancora un po' l'agonia della speranza. Niente, neppure oggi niente. Riattaccai. Attonito, perso. Uscii dalla cabina, mi abbandonai sul gradino del marciapiede. Mi lasciai bagnare dalla pioggerella leggera di quella sera per un quarto d'ora buono prima di riuscire a costruire un pensiero. Lo sguardo perso nella vetrina chiusa all'altro lato della strada. Le poche persone intorno a me, inesistenti. E l' unico pensiero fu: ciao a tutti, io adesso muoio. Non morii, invece. Una di quelle persone che mi gironzolavano intorno insistenti si era intanto avvicinata; da un po' mi fissava senza che io la lasciassi entrare nel mondo silenzioso nel quale mi ero rifugiato. Poi si sedette di fianco a me, immagine sfocata. Solo quando la intravidi scaldare le mani stringendosele al petto una vampata di caldo mi avverti' che era li' con me. Lei. Lei??? Heyyyy, ma cosa centri tu?!? Cosa fai qui?!? Come mi hai trovato?!? Cosa fai li'?!? Vieni qui. Vieni qui. Lei, silenziosa, mi guardava, semplice. I capelli bagnati, il sorriso stretto che m'attanagliava costantemente da quando l'avevo conosciuta. Vieni qui, le ripetei, abbracciandola forte. Una lacrima. D'improvviso, d'istante. Ero libero. Mi ritrovai. Piansi, come mai prima. Lei, in silenzio. Anche lei, una lacrima. Scusa, mi disse poi. Un bacio, leggero, la mia risposta. Le lacrime, la pioggia, le foglie nel vento, l'odore bagnato dei capelli, l'abbraccio. Ti amo, le dissi. Ti amo, ti amo. E' colpa mia, non andartene mai piu', ti prego. Ti prego. Si, mi rassicuro' lei prendendomi le mani, lo sguardo basso. Si, si. Anche io, anche io. Scusami, scusami, tremo' stanca stringendomi a se'.