GIALLO Giallo. "Fermati, che e' meglio", pensi. Rosso. Uffa. Rallentando scende a bagnare il parabrezza pure la pioggia che era sul tettuccio. E il rumore delle goccie che martella insistente nelle orecchie, e i tergicristalli che scandiscono il tempo dei tuoi pensieri. E i rivoli di pioggia sui vetri, li' a ricordarti la sensazione di bagnato sulle mani, fredde. Gli spruzzi sollevati dalle macchine ricadono sul marciapiede, dove un paio di ragazzi si scansano con i loro ombrelli grigi. Qualcuno suona, in macchina, ha fretta. Un imbecille passa col rosso, chissa' che si vada a fermare contro qualche albero. Pioggia... solo pioggia e acqua. Almeno ci fosse l'autoradio, nella tua uno verde di terza mano. Almeno fosse blu metallizzato. Un tappeto di foglie nelle pozzanghere sulla strada, un cestino rovesciato dal vento colora un angolo di pacchetti di patatine e di lattine di Pepsi. Un ragazzo in motorino si ferma al semaforo sotto la pioggia battente con un impermeabile rosso che lo copre a malapena. Quasi quasi gli daresti un passaggio, ma gia' col pensiero sei volata altrove. Verde. Finalmente. Riparti, giri il volante, vai. Rallenti... ora di punta, traffico. Due bambini passano la strada sulle strisce, c'e' la scuola. Altri dieci minuti e dovresti essere arrivata. Gli alberi ingialliti nascondono un po' di nuvole nel cielo; l'autobus stracarico ti passa di fronte ricordandoti com'era la pioggia vista dal suo interno, qualche anno prima, quando era scontato dover andare a scuola. Tu, li' dentro, fra la folla, con lo zaino, i libri, e il tubo da disegno. E quell' autista giovane e simpatico... "neanche si ricordera' di me", ti dici. E gli amici. Si parlava di scuola, dei prof... poi di ragazzi, e di vacanze. E tu eri li, pure tu. Parlavi, ridevi. Poi c'erano quelli che parlavano delle discoteche, di quelle che erano diventate una palla, di quelle che c'era stata la retata; i piu' grandi che organizzavano il sabato sera. Qualche volta li avevi invidiati un po' pensando in cuor tuo ai genitori che alle undici ti volevano a casa. E quei due che dai sedili dietro parlavano sempre di computer. Qualche volta leggevi le lettere delle tue amiche; qualche volta ascoltavi i discorsi della gente, divertita. E Elisa, la compagna di banco, che quando pioveva ti accompagnava un pezzo in autobus; e quante risate, con Elisa. E avevi raccontato le tue storie e i tuoi sogni, immortalandole su un sedile con un pennarello rosa. Storie che erano tutto... che ora sono un pensiero che in un attimo si e' sciolto nella pioggia. Mai avresti pensato che un giorno saresti stata di qua del vetro, in una di quelle macchine che vedevi passare e che portavano i bambini all'asilo. In effetti i bambini non ci sono, almeno per il momento. Forse fra un po' di anni, se le cose andranno come dovrebbero. Un'auto modello da pieno di soldi esce dal parcheggio; rallenti, poi ti fermi ad aspettare. Se potessi scenderesti dalla macchina; vorresti sentire la pioggia sulla pelle, e urlare al mondo di piantarla, che sei stufa di stare qui a guardare che gira. E poi telefoneresti al tipo del lavoro che quel colloquio se lo vuole se lo fa da solo. Spegni il riscaldamento, si comincia a soffocare, qui dentro. E dopo cinque minuti sei di fronte all'ingresso dell'ufficio. Esiti un po', ma non e' la prima volta che ti capita un colloquio del genere. La prima volta si, che era stato difficile. L'anno scorso, in quella ditta tessile, come segretaria alla prima occupazione. Cercare il contatto, cercare gli uffici, aspettare che torni il capo ufficio, rispondere a domande che danno per scontato di sapere gia' la risposta e che quella risposta non piacera'. E sentir parlare di bilanci,di incentivi, di categorie, di suole e di materiali. Certo, non era stato facile. E neppure utile. Alla fine era saltato tutto e il tuo diploma di ragioneria si era sarebbe potuto rivelare utile solo come bersaglio per le freccette. Poi era passato il tempo, poi quel tentativo all'universita'.... e ora, di colpo, quei casini con i tuoi. Ed eccoti qua di nuovo, dopo aver sprecato un anno, davanti ad un ufficio a cercare di parlare con uno che sta al di la' di una scrivania. Chissa' questa volta come andra'. Certo la giornata non sembra una delle piu' incoraggianti, ma almeno i motivi che ti portano qui son piu' convincenti. "Ho un appuntamento con il signor Cairoli", dici ad una segretaria vestita come se stesse andando ad una festa di matrimonio. "Attenda un attimo... se vuole puo' aspettare li'..." L'ombrello nel portaombrelli, la giacca impermeabile ancora sulle spalle. D'istinto ti passi una mano fra i capelli, domandandoti se hai una faccia di quelle da domenica mattina e chissa' che impressione fara' al tipo, quella tua faccia. Guardi l'orologio. Il pensiero si perde a ieri sera, a casa di Mauro. Che storia strana, chissa' come andra' a finire. "Buongiorno, signorina.", si presenta una voce giovane alle tue spalle. Il signor Cairoli ti porge la mano, sicura. Ti guarda dritto nei tuoi occhi marroni, mentre tu d'istinto abbassi lo sguardo. Insieme passate un corridoio, poi una porta a vetri; Un tavolo verde, lui ti indica una sedia. Un po' imbarazzata ti togli l'impermeabile umido dalle spalle, e ti avvicini alla sedia che ti ha indicato. "Allora, Lucia.", ti dice a sorpresa. "Allora, senta." L'alba. Il cuscino, soffice. Le braccia l'una sotto il capo, l'altra abbandonata lungo il corpo. Le dita che impercettibilmente scivolano su se stesse inseguendo un'emozione. Lentamente l'ultimo sogno si assottiglia mentre tu ne divieni la consapevole interprete. Con la mente cerchi di mantenerne il filo; tendi la sensazione di benessere per non lasciarla andare via con i canti degli uccelli della mattina, fuori dalla finestra chiusa. Ma e' un attimo, un istante. La realta' intorno a te cancella i volti amici di coloro che ti stavano accompagnando nel mondo lontano. Aprendo le palpebre cerchi di riavvolgere la pellicola del sogno, di gustare ancora un poco l'emozione di quel film che presto sara' diventato nel nulla. Ma gia' la trama si e' persa nella ritrovata razionalita'. Dalla finestra entrano un soffio di luce e il canto di un passero, mentre tu con una mano cerchi a tentoni la sveglia sul pavimento... le sei del mattino. Cavoli, potresti dormire almeno un'altra ora. Ma senti troppe sensazioni dentro di te per ritornare a sognare. Ti volti... infili la testa sotto al cuscino; la tua prima voce e' il mugolio di chi passerebbe le giornate nello stato di torpore del dormiveglia. Ma la mente gia' si e' attivata, pronta come poche volte ti era successo prima, di prima mattina. Un pensiero: forse un lavoro serio, questa volta; Dentro di te distingui netta la soddisfazione. E sei finalmente fiera di stare cominciando a prendere veramente in mano la tua vita. Vedi come le tue scelte stiano cambiando l'essenza dei tuoi prossimi anni, di come in un attimo si possa ribaltare una situazione che sembrava un blocco di cemento. E ad occhi aperti sogni il futuro. L'immediato futuro... come andra' con Mauro, cosa diranno i tuoi. Anzi forse ai tuoi per il momento non dirai niente. E come andra' il futuro di domani, dopodomani... come sara' Lucia fra una settimana, un mese, un anno. Ti giri nel letto, non riesci a stare ferma; dopo dieci minuti sei gia' in piedi con infilati il paio di jeans che stava sulla sedia della scrivania. E pensi... forse sara' tutto diverso da quel che ti aspetti, ma poco importa. Quel lavoro finamlemte e' la via d'uscita. E' l'indipendenza, e' finalmente qualcosa che sai fare bene e che sara' valutato per quel che vale. Prendi in mano il telefono... chiameresti una tua grande amica, Chiara, le diresti tutto subito. Vorresti comunicare a qualcuno qualcosa. Ma guardi l'orologio, le sei e mezza, cavoli avresti detto le otto. Vai in cucina, al buio. Cerchi l'accendino, una sigaretta, finite. Vai alla finestra e d'impeto tiri, tiri la cinghia della persiana, la apri. Il sole, ancora freddo all'alba. "Ciao Sole!!!", gridi a bassa voce. Accidenti, sembrerebbero passati un paio di giorni da quando hai raccontato ai tuoi del nuovo lavoro, e di come ne eri entuasiasta. E invece sono ormai passati piu' di tre mesi. E adesso, venerdi' sera; Finalmente e' finita la settimana. Certo, il lavoro e' bello, risolve un po' di problemi, ma per quanto vario sia dopo un po' gia' senti quanta parte di te si stia portando via. Finalmente anche oggi e' arrivata la sera. E come non bastasse, questa sera... accidenti. E' una di quelle sere che passerai con la radio ad alto volume fregandotene delle proteste dei vicini e scarabocchiando qualcosa con la china o con le tempere. "Senti, Mauro, forse e' meglio per tutti e due se per un po' non ci vediamo", gli hai detto l'altro giorno. E certo, mica puoi fargli un discorso del genere e poi chiamarlo per chiedere se fa un salto da te a guardare un film alla TV. E nemmeno puoi passare da lui per lacerare ancor di piu' la carne intorno alla ferita. Potresti telefonare a qualche amica, potresti fare... ma chissenefrega. Immersa da questi pensieri infili le chiavi nella toppa, le giri, attraversi il breve corridoio per andarti a lanciare, stanca, sul letto. L'occhiata alla segreteria telefonica ti ha per un attimo illuminato con la sua spia lampeggiante; ma il pensiero del solito rompiuova che mette giu' appena sente il beep ti e' stato sufficente per sentire lo stomaco contorcersi. Poi un dubbio... magari e' lui. Controvoglia ti alzi... play. Tu, tu, tu... in effetti era il rompiuova. E forse questa sera il rompiuova di turno era stato proprio lui... chissa', forse ti ha cercato. Forse aveva voglia di sentirti. O forse sei tu che ti crei le storie e lui se la sta spassando chissa' dove. Certo, mai ti potrebbe passare per la testa che il rompiuova in questione sia stato il il signor Cairoli che ti avrebbe offerto un invito a cena. Qualche domenica dopo; non sei potuta andare in spiaggia con gli amici perche' per la mattina i tuoi hanno fissato un mega incontro familiare da culminarsi con un pranzo da ambasciata americana che ospiti Scalfaro. Un cortese rifiuto ad un simile invito comporterebbe alla meno peggio l'esilio, per cui alla fine hai passato la parte utile della giornata fra zii e cugini di primo, secondo e terzo grado, con relativi figli, fratelli, nonni. Il tutto condito da bambini che si fanno la pipi' addosso nei momenti meno opportuni, da commenti sulla tassa per l'Europa e sui giovani che vogliono tutto subito, da spigolate sulla zia Ada che non si fa mai vedere. Rispettati i convenevoli di rito, solo nel tardo pomeriggio riesci a trovare un po' di spazio per startene un po' sola con i tuoi pensieri. "Vengo subito, vado a fare due passi", dici uscendo da una nuvola di fumo di pipa. Fuori dal cancello ti incammini per una delle strade sconosciute del quartiere residenziale dove i tuoi stanno da un po'. Per un po'segui il ritmo dei tuoi piedi senza nemmeno rendertene bene conto. Poco dopo cammini, pensi. Sogni, fischietti. Annusi l'aria, ascolti le voci del viale alberato. Infili le mani in tasca, e accelleri il passo. Una chiesa, un patronato. Un campo da pallavolo, dei ragazzi che giocano. Al di la' del vetro un paio di videogames, il ping-pong. Un bambino in biciceltta segue la sua mamma, a piedi; un papa' fa manovra nel parcheggio per uscire con la macchina. Vicino al ping-pong intravedi la partita a carte di quattro vecchi amici al bar. E nel piazzale, un cerchio di ragazzi salta seguendo il ritmo di una canzone, e sul muretto, davanti alla chiesa, due che si baciano. Sei sovrappensiero mentre un paio di bambini sui dieci anni ti sfiorano ansimando e correndo verso il patronato. Li segui con lo sguardo, poi li perdi. I loro visi ti rimangono un attimo nella mente: due occhioni azzurri e un capello irto da non credersi, una faccia a batuffolo e un cappellino con la scritta "Nike." Tornando a casa, alla sera, hai un solo pensiero. Non pensi a Mauro, ne' ad Andrea Cairoli, ne' agli amici al mare; non pensi nemmeno ai tuoi o alla zia Ada. E nemmeno al lavoro, alle possibilita', alle eventualita'. Pensi alla faccia a batuffolo di un bambino di dieci anni con quella scritta "Nike.". Pensi a due occhioni azzurri e a due ragazzi che si baciano sul muretto. E tutto questo pare molto bello.