Era il sessantaduesimo giorno di navigazione, quando d'improvviso, con mare calmo e visibilità nove, la Soleil Royal in rotta per le Americhe si incagliò. A bordo si stava consumando una giornata ordinaria di riassetto del primo ponte di coperta. Il Capitano era intento nel suo lavoro di inventariato, da eseguire sul materiale in stiva, prima dell'arrivo in continente; ai comandi stava Taylor, sottufficiale in prima; nelle cabine era il momento dei marinai di corvè, e sul barrichello erano in finitura dei lavori di aggiustamento per un paranco che il vento aveva portato con sè. L'urto arrivò inaspettato, da qualche parte fra il quarantaduesimo e il quarantatreesimo meridiano, nel silenzio della navigazione ordinaria non ci fu nessun preavviso. Dalla gabbiola Gregor, marinaio alla sua seconda traversata oceanica, fu strattonato. L'intero vascello si impennò a poppa, strappò se stesso, ricadde in avanti, sbattè con violenza su un fondale. Gregor si vide sbalzato, emise un gemito, riuscì ad afferrarsi con tutte le sue forze al terminale della cinghia di cuoio che era fissata sul fondo della gabbiola, ricadde su se stesso e nel ricadere quasi si spezzò la gamba per la violenza; Si alzò di scatto, si avvinghiò al parapetto, si guardò attorno, non vide nulla. Ebbe due pensieri: affondiamo era il primo, e nel mezzo dell'Atlantico voleva dire la morte. E' colpa mia, era il secondo, e dalla guardiola voleva dire che aveva condannato a morte le duecento e tredici persone di equipaggio con cui aveva convissuto da sessantadue giorni, per una sua disattenzione, un suo errore. Guardò in tutte le direzioni, nessuna nave in vista, nessuna terra in vista, il sole alto alle 16, la prua a ovest, nessun ostacolo apparente. Prese fiato, gridò: <>, riprese fiato: <>, continuò a ripetere per qualche minuto il ritornello: <> Sui ponti succedeva il finimondo, rotolavano oggetti di tutte le provenienze, erano sbalzati in mare barilotti di pece e utensili; marinai uscivano correndo da tutti i boccaporti, a tratti si vedeva il panico, i più giovani cadevano, poi si rialzavano, poi cadevano, rotolavano giù dalle scalinate di legno. Il Capitano stesso rotolò sulla sua sedia nella sua cabina, andò a sbattere sulla libreria alle sue spalle, la pesante scrivania di quercia gli si abbattè contro, lo spessore della sedia fu sufficente a permettergli quei trenta centimetri di aria che gli lasciarono riprendere il fiato, e quando poi la nave era ricollassata su se stessa, si ritrovò immobile sepolto fra libri ed immagini e soprammobili e la sua scrivania, e la sedia, e fortunatamente la libreria era bene ancorata alla parete di poppa e non gli ricadde sulle spalle. Rimase immobile come si trovava. Dal ponte di seconda si alzò l'urlo: <>, poi fischi, Ti Tiii Ti Tiii, Ti Tiii Ti Tiii, poi si fece il fuggi fuggi, venne lanciato un salvagente, rotolò pigro a pochi metri di distanza dalla nave, e fra i flutti e le schiume mosse dallo scafo, non si poveva già più distinguere dove era caduto, <>, gridò qualcuno, <>, si sentì rispondere solamente. Quattro uomini erano già alle gomene, e lentamente scendevano due grosse barche ricoperte da un telone bianco e che contenevano cibi e acqua e remi, precipitarono poi in mare con un tonfo, venne srotolata la scala di corda, due uomini con veloci movimenti delle gambe e delle braccia si affacendarono a percorrerla, guadagnarono il controllo delle imbarcazioni. Il nostromo era in coperta, quando successe l'incidente; si trovò sbalzato contro una vetrata, che infranse con il peso del suo corpo. Finì strappata la cartina dell'oceano che stava raccogliendo, non fu più ritrovata la sua bussola, lui rimase poi a terra privo di sensi, la testa era insanguinata. Ritornò in se quando fu soccorso dopo qualche minuto dal timoniere, che era stato più fortunato. Poi la paura, quella più fredda e tetra cominciò ad infilarsi solitaria dentro a tutti gli uomini dell'equipaggio, giusto il tempo per rendersi conto di essere ancora vivi, quelli che erano ancora vivi, perchè quell'uomo era già annegato e dimenticato in mare. La paura era una uno spillo ardente che si insinuava fra polmoni e cuore, che infilzava la carne all'inspirare, che si ritraeva per spostarsi un poco all'espirare, che si conficcava fra i tessuti quando pareva ormai passata. Il pensiero di tutti era allo scafo. Fra chi era rimasto sotto, fra gli stretti corridoi che circondano le due stive, o alle cucine, o nella cella di rigore stessa, o alle feritoie dei cannoni, la paura non era uno spillo ma una diretta coltellata al cuore. Perse le forze, impossibilità di muoversi, la morte già dentro di sè prima di attendere l'esplosione d'acqua che travolge senza più lasciare il tempo di pensare ancora. Ma lo scafo aveva tenuto piuttosto bene. Alcune assi erano incrinate all'indentro, sul fondo, all'altezza di tre quarti di scafo; le travi di legno ricurvate su se stesse al fuoco dei cantieri di Genova però tenevano, anche se alcuni grossi chiodi erano divelti, spostati di qualche centimetro dal loro assetto, il legno in quei punti era sgretolato, e lentamente l'acqua cominciava ad infiltrarsi fra le fenditure, e a peggiorare quell'equilibrio di forze che intanto ancora teneva unita la nave. Qualcuno fuggendo spinto dalla forza dell'istinto aveva perso ogni ragione, percorse a caso corridoi scuri e buii, prima di perdersi nei labirinti della nave, per poi crollare annaspando sul pavimento; ma qualcuno più lucido, era Mr. Jonald Richeliard, un mercante veterano degli oceani, si precipitò invece contro a quell'apertura, seguiva il flusso dell'acqua che si allungava sul pavimento, strappò con forza un uomo che era crollato a terra, chiuse e sprangò una pesante paratia di legno che avrebbe almeno rallentato l'acqua. Dall'altra parte erano rimasti alcuni archivi cartacei e un ripostiglio, niente di cui preoccuparsi troppo; <>, gridò poi. Era il richiamo, atteso, ma che si temeva. Chi non era ancora stato preso dal panico, lo fu. Sui ponti stavano oltre duecento persone, si accavano, aspettavano, si facevano forza l'un l'altro. <>, riecheggiò poi, prima un urlo disperato, poi iniziò a ripetersi di bocca in bocca. Il Capitano si fece forza, piantò i piedi sulla parete di sinistra, si svincolò dalla catasta che lo ricopriva, mosse di qualche centimetro la scrivania. Si alzò in piedi, <>, pensò. <>, pensò poi. Fu presto fuori nel corridoio, poi annusò verso un boccaporto, poi percorse un lungo corridoio buio, poi raccolse una lampada ancora accesa ad una parete, si infilò su una scala, scese due scalini, incrociò un uomo aggrappato al parapetto, tremante che saliva. <>, gli intimò. Lui fece per riassumere un contegno, e stringeva con la mano una trave di legno, di fianco, cercava di trascinare il suo corpo disperatamente verso l'alto, le gambe non lo seguivano più. <>, erano le parole, le ripetè come un automa. Il Capitano lo congedò con una manata d'incoraggiamento alle spalle, rivolse lo sguardo giù, si fece forza perchè non poteva perderla adesso. Scese la scalinata. Alla sua sinistra il corridoio conduceva alle cucine, la scala scendeva ancora, più scendeva e più erano ovattati i rumori che venivano dai ponti di coperta, e dalle voci dei marinai in corsa. Scese un'altra rampa di scale. Si ritrovò con i piedi a mollo, erano trenta centimetri di acqua. La nave era inclinata, aumentava la profondità nella direzione opposta a quella da cui il flusso di acqua veniva. Si diresse verso quella direzione. Un lungo corridoio, poi una grossa paratia era sprangata, <>, esclamò senza voce fuori dalle labbra. Non c'era tempo da perdere. Tornò sui suoi passi, aumentò la piacevole passeggiata in lunghe falcate, correva, lungo i corridoi, si arrampicava per le scale. Ricominciò a sentire urla, lui saliva ancora, non andò verso i ponti ma percorse un lungo corridoio che stava di fianco alle stive, raggiunse un boccaporto e da lì vide la luce del sole e l'azzurro del cielo e si infilò nella cabina di comando. Trovò timoniere e nostromo raccolti sul pavimento, qualcuno era ferito, le cose erano rovesciate e una vetrata era stata sventrata. C'era anche Taylor, Sottufficiale in prima. <>, salutò il Comandante. Lesse la paura negli occhi di quegli uomini. <> <>, era il nostromo. <> <>. Taylor esitò un po'. Era accasciato sul pavimento, fece per rialzarsi ma crollò di nuovo, poi si alzò definitivamente, lanciò un'occhiata di richiesta aiuto al Capitano, al nostromo e al timoniere, ricevette altre richieste di aiuto in risposta. Uscì in fretta dalla cabina. Poco dopo si sentiva una campanella che tintinnava, e tintinnò per trenta secondi. Poco dopo le voci confuse dai ponti tacquero, e quella di Taylor si alzò e diede degli ordini. Il Capitano si sedette, mise per un istante la testa fra le mani, poi la rialzò, <> I due uomini che erano con lui si alzarono in piedi, ripresero un po' di coraggio. Il nostromo aveva la testa sporca di sangue, ebbe un giramento, si risedette. <> Due marinai entrarono senza bussare, si presentarono sbattendo il tacco, <>. <>, continuò lui. La nave rimase incagliata a lungo, non bastò l'alta marea, con quel poco vento. Poi alla sera un uomo non si presentò all'appello. Era stato sbalzato in mare, si disse di lui. E dopo una settimana la Soleil Royal era di nuovo in rotta per le americhe. Martina, questa è la scoperta di una barriera corallina. Allora è stata salutata con il Rito del saluto al mare, alla sera, in onore di un marinaio che vi era morto, la prima volta. E oggi quel corallo è segnato sulle cartine, accompagnato dal nome del marinaio. Ti dedico, se mi è lecito, quella barriera corallina, e ti dedico la vita di un marinaio che nello scoprirla vi è affogato. Marinaio che, è chiaro, potrei essere io. Un bacionissimo, che è un bacione grandissimo, Marco